Sunday, 15 June 2025

Da ideologia a ideologemi

Da ideologia a ideologemi

La maniera in cui gli organi di stampa parlano degli attacchi di una notte rispetto al bombardamento a tappeto della striscia ha ovviamente dell’incredibile e sta solo a testimoniare come ormai l’informazione sia un puro meccanismo di plagio che non deve nemmeno rendere conto di un minimo di coerenza semantica, porre in una linea di ragionamento non dico coerente ma in qualche modo sostenibile i discorsi della mattina con quelli della sera.
È questo un sintomo di ulteriore decadimento della civiltà nostrana, dove ormai non si producono più nemmeno ideologie, vale a dire sistemi di pensiero con una qualche organicità che diventano visioni del mondo operative, sistemi di valori e di comportamento, religioni nel senso della tradizione gramsciana, ma meri ideologemi, contenuti singoli ad hoc che possono essere l’uno l’opposto dell’altro dalla mattina alla sera. È la pura manipolazione, il puro affastellamento di immagini e notizie che devono passare in virtù della mera insistenza con cui le si propone, senza la necessità di convincimento. È la distruzione della Cultura in senso forte, di un sistema regolativo di principi che reggono una società che dir si voglia democratica. Dalle ideologie agli ideologemi, i singoli contenuti di volta in volta mutevoli in funzione dello scopo della giornata.
Anche qui non si tratta di piangere i bei tempi andati in cui lo scontro politico era anche sviluppo culturale, ma di prendere atto di come la dinamica attuale del capitalismo, che chiamo crepuscolare, tenda a instaurare meccanismi di puro dominio senza direzione, forza senza egemonia, dove anche il modo di concepire la realtà viene inculcato a forza senza mediazione e convincimento (ovvero violentemente).
Queste trasformazioni ovviamente pongono quesiti sulla tenuta di sistema: può reggersi un regime sulla mera forza? Se sì, per quanto tempo? Con che prospettive di sviluppo, che sono garanzia della sua stessa sopravvivenza? Si può andare avanti a lungo a bastonate e chiacchiere? Nemmeno il fascismo ha fatto così, ha dovuto a un certo punto normalizzare. Insomma, il modello America latina funziona se c’è un centro che non funzione in quel modo. Ma se tutto il sistema prende quella piega? Domande aperte.

I valori occidentali

I valori occidentali

Da una parte è bene ribadire che è una follia ripudiare i “valori occidentali” se con ciò si intende libertà di pensiero, di stampa, di opinione, uguaglianza, libertà individuali, diritti sociali, il concetto universale di essere umano, la legge e non l’arbitrio come regolatrice delle società ecc.
È ingenuità diffusa credere che tutto ciò sarebbe “naturale” e che il perverso mondo moderno starebbe negando o “alienando” l’essere umano originariamente pacificato. Tutti questi bei principi, ben lungi dall’essere naturali, sono invece risultato di complessi e contraddittori processi storici che hanno portato a essi come conquiste sociali. In “origine” gli esseri umani si mangiavano tra di sé. Lo stesso anti-eurocentrismo è un concetto quanto mai… europeo, nato e possibile solo dalla tradizione che si è sviluppata a partire dall’Europa illuminista.
Detto questo, è bene sottolineare che quanto stanno facendo adesso i sedicenti difensori dei valori occidentali è la negazione dei valori occidentali, o almeno di quei valori progressisti di cui si dichiarano paladini. Nelle guerre in corso è negata in particolare l’universalità dell’essere umano e la vigenza del diritto come criterio regolatore dei rapporti interpersonali e interstatuali. Sbandierare i valori occidentali per negarli è quanto stanno facendo le sedicenti forze del bene. Da una parte è quindi un’assurdità combattere contro i valori occidentali, significa solo abboccare all’amo che hanno teso.
D’altra parte però è altrettanto assurdo non vedere che questa negazione di fatto non è un mero capriccio o uso strumentale soggettivo di essi da parte di alcuni capi di governo rispetto ad altri. In parte lo è, beninteso, ma le cause strutturali che mettono in moto questi meccanismi sono ancorate alla dinamica di (difficile) valorizzazione delle forze capitalistiche ad oggi egemoni di fronte all’emergere di meccanismi che hanno messo in crisi il sistema di dipendenza economica finora prevalente. Insomma, il modo di produzione capitalistico non è in grado, per la sua intrinseca crisi di valorizzazione, di universalizzare effettivamente quei principi universali.
Salvare lo stato di diritto borghese è un obiettivo minimo, ma non ci si può limitare a una formalistica rivendicazione di legalità. Bisogna intervenire nei processi organizzativi e produttivi rilanciando la questione del controllo pubblico della produzione (o almeno dei suoi gangli fondamentali) e del suo coordinamento internazionale secondo regole convenute.

Referendum

Referendum

Con ben poca sorpresa, il quorum non è stato raggiunto. Che un mondo del lavoro superprecarizzato non voti contro la precarizzazione parrebbe difficile da immaginare. Invece non c'è da sorprendersi.
Di primo acchito, due gli elementi da prendere in considerazione:
1) una gran parte dell'elettorato è ormai politicamente analfabeta, non ha più idea delle cose per cui vota. Non nel senso che non conosce il merito del quesito, ma nel senso che non ha capacità di comprensione delle scelte politiche (chi ha a che fare con le nuove generazioni sa che, pur con lodevoli eccezioni, le cose in questo senso non andranno a migliorare);
2) questo analfabetismo di base era sicuramente minore prima, ma certo non assente; era mediato dalle organizzazioni di massa che, al di là del conoscimento individuale, davano un orientamento in cui l'elettorato progressista si riconosceva. Le leggi per la cui abrogazione si è votato *sono state fatte per lo più dal PD* con un sostanziale silenzio/assenso del sindacato promotore dei referendum.
Dunque, tenendo conto di chi non sa/capisce, di chi è mosso da sentimenti di protesta contro queste organizzazioni per il loro "tradimento", di chi è rimasto disorientato dal loro comportamento (si noti bene che diversi esponenti del PD hanno confermato di essere contrari all'abrogazione), di chi ormai pensa che sia inutile perché "tanto non cambia niente", il risultato non è poi così sorprendente e, ahimè, da molti a malincuore già previsto.
Si potrebbe quasi sospettare che si tratti di manovre interne volte a indebolire ulteriormente quel poco di sinistra che resta in questi schieramenti.
È l'esito di un lungo processo iniziato con le privatizzazione dei primi anni '90 di cui il PDS --> PD --> D ecc. è stato promotore e protagonista.
È l'onda lunga del governismo del PCI, della crisi e della fine dell'URSS, dello smarrimento pratico e ideologico di fronte alle sfide del capitalismo crepuscolare.
Lo si definisca come si preferisce, questo processo si declina bene con i programmi di neo-servitù che i nostri governanti ci stanno apparecchiando o, meglio, che stanno mettendo in esecuzione su mandato dei loro padroni.
Parecchi dei cacicchi che ora si beano perché hanno garantita una parte delle stecca, non vorrei però avessero più in là a dolersene.

Violenza e universalismo

Violenza e universalismo

Il massacro è in corso, in diretta da mesi. Non è il primo e non sarà, purtroppo, l’ultimo. Recentemente ce ne sono stati altri, compiuti anche dai soliti noti, dalle forze del bene e del diritto.
Non solo recentemente: i difensori del diritto hanno fondato i propri paesi sul genocidio in diverse parti del mondo, hanno trafficato in esseri umani facendo guerre per ottenere il monopolio di quei traffici, hanno messo in musei i “selvaggi” in casa propria alla pari degli altri animali dello zoo.
Chi è che non lo sa? Qual è la differenza? Perché questo caso ci indigna di più? Forse perché è indiretta streaming e non si può far finta di non sapere, di non vedere? Ma è davvero possibile fingere di non conoscere la sanguinaria storia di dominio e distruzione su cui è basata la nostra presunta civiltà? La verità è che a molti, moltissimi, questa cosa non desta alcun problema. Che finché non riguarda “noi” si può guardare questo scempio come un film in televisione. Un film triste ma che dalla televisione non esce. E se il “nostro” benessere non viene toccato… pazienza, con tristezza, ma pazienza.
La verità è che l’essere umano come concetto universale, come valore da difendere ovunque non è un dato, non è innato, ma il risultato di un processo di civilizzazione che si può interrompere, o addirittura far arretrare. E questo processo evolutivo non è solo individuale, non avviene solo nelle coscienze dei singoli, ma all’interno di una dinamica sociale che ha delle strutture e delle regole. Il riconoscimento formale dei diritti universali la borghesia capitalistica, per una fase e in determinate zone del mondo, lo ha promosso. Lo sviluppo capitalistico è però rapidamente e strutturalmente arrivato allo stadio in cui non riesce a espanderlo ulteriormente, anzi in cui è di nuovo preferibile ridurne la portata a élite selezionate. Queste élite hanno bisogno di un entourage più o meno largo. Le masse subalterne all’interno del mondo occidentale sono al bivio tra schierarsi per cambiare le regole del gioco oppure sacrificare il fratello più debole per entrare a far parte di quell’entourage. Il fascismo (diretto o mascherato) è la seconda scelta, è la speranza di essere ammessi, anche se sul gradino più basso, in quel circolo ristretto. Per gli altri, può dispiacere (e a qualcuno nemmeno dispiace).
C’è tuttavia anche chi quell’universalismo lo vuole rendere davvero tale, contro coloro che lo vogliono negare del tutto o affermare solo formalmente. Un universalismo reale deve trovare delle vie di uscita dal capitalismo e dai suoi meccanismi perversi che fanno di guerra, dominio e distruzione l’esito sempre più probabile delle perverse dinamiche di valorizzazione e dominio. Finché qualcuno così continuerà a esistere e lottare, la luce della speranza non è spenta. Tempi migliori verranno.

Wednesday, 11 June 2025

La doctrina social de la Iglesia. Roberto Fineschi

Tradotto a mia insaputa in castigliano :D :D  



La doctrina social de la Iglesia

EL PAPA, LOS PAPAS Y LA DOCTRINA SOCIAL DE LA IGLESIA

La elección de un nuevo papa suscita inevitablemente un gran interés por el papel internacional que desempeña esta figura, en particular en Italia, aunque la tendencia reciente es elegir papas no italianos1. Es evidente que, aunque se compartan determinados principios fundamentales, se pueden adoptar posturas muy diferentes (digamos que los comunistas saben algo al respecto). En lo que respecta a la llamada doctrina social de la Iglesia, estos principios fundamentales están muy claros, expresados en numerosos documentos y desarrollados con coherencia a lo largo del siglo XX. Permiten un amplio abanico de «apoyos» posibles que pueden desplazar la labor pontificia más hacia la derecha o hacia la izquierda; sin embargo, ningún papa ha puesto nunca en duda las bases generales de ese sistema. Por lo tanto, si bien hay que saludar con el debido reconocimiento las posiciones más a la izquierda de unos frente a otros, tampoco hay que confundirse en las cuestiones de principio.
La segunda precisión es que lo que se intenta explicar se refiere a la posición oficial de la jerarquía eclesiástica y no concierne necesariamente a las mil almas populares del catolicismo social. Sin embargo, es bien sabido que las jerarquías controlan estrictamente la cara «oficial» de la Santa Iglesia Romana.

1) Las premisas: Pío IX2

En la encíclica Quanta cura (1864) y en el Silabario adjunto a ella, Pío IX no combate simplemente el Estado moderno, sino la modernidad como tal. He aquí un primer elemento que hay que tener muy presente: el contenido antiliberal de la crítica de la Iglesia católica es anterior a la llegada de la burguesía al poder y a la difusión mundial del capitalismo y, por lo tanto, es totalmente antimodernista, es decir, no pretende ir más allá del capitalismo, sino volver a un antes. Al hacerlo, Pío IX retoma a su predecesor Gregorio XVI, que consideraba una «locura» lo siguiente:

«La libertad de conciencia y de iniciativa es un derecho personal de todo hombre que debe ser proclamado y afirmado en toda sociedad constituida según el derecho; y que el derecho a una libertad absoluta reside en el ciudadano, que no debe ser limitado por ninguna autoridad, ni eclesiástica ni civil, ya que deben poder manifestar y declarar abierta y públicamente cualquier opinión suya, mediante la palabra, la prensa o cualquier otro medio». 3.

Según Pío IX, esto no es libertad de pensamiento, sino «libertad de perdición».

La crítica al individualismo solo aparentemente podría considerarse superponible a la realizada por los comunistas: de hecho, se ataca desde la derecha. Esto se ve claramente en el Silabario, donde los primeros artículos están dedicados a la desautorización de la capacidad de la razón para comprender la realidad, los dogmas de la CC, etc. (art. 3-5). Solo a través de Dios el hombre conoce verdaderamente, pero para los católicos romanos, a través de Dios significa a través del Papa. El pensamiento debe estar así sometido a la verdad revelada y no someter a prueba racional la fe (art. 10). La tercera sección está dedicada a sostener que solo la fe católica conduce a la salvación, las demás no, con una postura explícita contra los protestantes (art. 18). A continuación, se declara la necesaria subordinación del Estado de derecho a la CC (art. 20 y ss.). Sigue luego un tema muy querido por la CC actual: el control de la educación (art. 45 y ss.). Los artículos 67 y siguientes están dedicados a la nulidad del matrimonio civil frente al religioso según las sanciones del Concilio de Trento.

Cito directamente los últimos cuatro principios censurables para darles el sabor y el estilo de los nuestros; están dirigidos contra el reconocimiento legal de la libertad de culto4:

«77. Hoy en día ya no hay motivo para que la religión católica sea considerada la única religión del Estado, con exclusión de todas las demás formas de culto…

78. Por lo tanto, se ha decidido sabiamente por ley, en algunos países católicos, que las personas que vengan a residir en ellos puedan disfrutar de la práctica pública de su culto particular…

79. Además, es falso que la libertad civil de toda forma de culto y el pleno poder otorgado a todos para manifestar abierta y públicamente cualquier opinión y pensamiento conduzcan más fácilmente a la corrupción moral del pueblo y a propagar la plaga del indiferentismo…

80. El pontífice romano puede y debe reconciliarse y llegar a un acuerdo con el progreso, el liberalismo y la civilización moderna».

En resumen, Pío IX niega la libertad de pensamiento, de culto, de acción, la soberanía popular (ya que el Estado, que la encarna, debe responder ante la Iglesia, que es independiente de él) y sostiene la sumisión del pensamiento y la ciencia a la religión, etc. Me parece que esto basta para esbozar el perfil de los contenidos políticos de la posición antiliberal del papado.

2. El catecismo actual

Algunos podrían pensar que esta es la posición de la Iglesia de entonces, que hoy todo es diferente y que también ha cambiado la situación social. Sin embargo, evaluemos estas consideraciones a la luz de los dictados del Catecismo, redactado bajo la dirección del entonces cardenal Ratzinger. El artículo 872 dice:

«Entre todos los fieles, en virtud de su regeneración en Cristo, existe una verdadera igualdad en la dignidad y en el comportamiento, y por esta igualdad todos cooperan en la edificación del Cuerpo de Cristo según la condición y las tareas de cada uno».

Veamos también lo siguiente:

«Las mismas diferencias que el Señor ha querido establecer entre los miembros de su Cuerpo están al servicio de su unidad y de su misión».

Si, por una parte, todos son hijos de Dios y, por lo tanto, iguales, por otra, cada uno tiene una cualidad específica, también querida por Dios, que le asigna una función determinada.

Así, el art. 1936 afirma:

«Se observan diferencias relacionadas con la edad, las capacidades físicas, las aptitudes intelectuales o morales, los intercambios de los que cada uno ha podido beneficiarse, la distribución de las riquezas. Los talentos “no están distribuidos en igual medida”».

Aquí las diferencias físicas y sociales se sitúan en el mismo plano, todas ellas enmarcadas en el proyecto divino global, como se deduce también del art. 1937:

«Estas diferencias forman parte del plan de Dios… Las diferencias animan y a menudo obligan a las personas a la magnanimidad, a la benevolencia, al compartir».

Así, la desigualdad social, al igual que la física, es voluntad de Dios. El art. 1938 habla luego de «desigualdades injustas», que representan la superación del límite de las desigualdades justas.

El razonamiento expuesto implica que, por naturaleza (voluntad de Dios), no solo todos los hombres son efectivamente diferentes biológicamente, sino que esta diferencia se sitúa en el mismo plano que la estructuración social, cultural, caracterial, incluso la posesión de la riqueza. Así, la igualdad de los individuos, afirmada en virtud de su participación en el plan global de Dios (todos son hijos de Dios), no excluye que se les clasifique en una escala jerárquica según su naturaleza particular. Su dimensión social, al igual que el color de su piel, está divinamente establecida: hay «naturalmente» roles sociales más o menos importantes y, con la misma «naturalidad», personas más o menos aptas para desempeñarlos; es decir, desde un punto de vista conceptual, no se distingue lo que es natural de lo que es social5. Existe, por tanto, una jerarquía de funciones en cuya cúspide se encuentra evidentemente la eclesiástica (la más cercana a Dios) y en el nivel más bajo la menos espiritual (la material)6.


3. León XIII y la Rerum novarum

Ahora sabemos que existen diferencias «sociales» que son «naturales», por lo que no tiene sentido luchar por su eliminación; es más lógico que cooperen las fuerzas encargadas de ello. Sobre estos fundamentos se escribe la primera encíclica social, la famosísima Rerum novarum (1891) de León XIII. Esta se enfrenta al tema de la dinámica social una vez que el capitalismo ha creado algunas de sus condiciones fundamentales, es decir, la oposición conflictiva entre capitalistas y trabajadores asalariados. Por lo tanto, su articulación, en coherencia con el razonamiento expuesto, no está ligada a factores estructurales de la organización reproductiva, sino a la escala social-natural de las funciones, como lo estaban amo-esclavo, señor-siervo de la gleba. Las desigualdades justas son tales por voluntad de Dios o de la naturaleza, como se quiera, y no hay nada que hacer contra ellas. Sin embargo, lo que hay que hacer —y en esto la Iglesia se distingue claramente del liberalismo individualista radical— es tener en cuenta que todos son hijos de Dios; esto implica obligaciones morales de mutualismo interclasista: el empresario no debe ser un amo, sino un padre benevolente que vela por el bienestar de sus trabajadores y se preocupa por su progreso económico y moral. La propiedad privada debe tener una función pública, el beneficio no puede ser un fin en sí mismo, sino que debe coordinarse con el progreso social. Esto dio lugar a una difusa y próspera iniciativa empresarial católica, especialmente en el norte de Italia.

La perspectiva política de este enfoque era claramente antisocialista: el conflicto de clases no debía fomentarse, sino apaciguarse, el orden jerárquico de la sociedad era natural (obviamente con la Iglesia a la cabeza como guía moral de la empresa ilustrada). León XIII se posicionó expresamente contra el socialismo con la primera encíclica oficial de condena, la Quod apostolici muneris de 1878, varios años antes que la Rerum novarum, que ofrece la verdadera respuesta a la cuestión social7.

4. Pío XI, el salto de calidad

Si León XIII había sentado las bases de un espíritu empresarial organicista dirigido desde arriba y de carácter paternalista como respuesta al socialismo, un importante salto cualitativo se produjo con la Revolución Rusa, el advenimiento del fascismo y el agravamiento del conflicto de clases y interimperialista en el plano internacional. El papa que se enfrentará a este nuevo nivel de confrontación y, por tanto, a la formulación teórica correspondiente, es Pío XI. La condena oficial del comunismo como movimiento político y del materialismo histórico como doctrina filosófica por parte del papado sigue siendo su encíclica Divini Redemptoris de 19378. La primera parte de la encíclica está dedicada a la refutación del materialismo histórico y no se puede profundizar en ella porque ocuparía demasiado espacio; se puede afirmar brevemente que lo que se ataca es una versión parcial y conveniente. En la segunda parte, Pío XI hace algo que sus colegas rara vez hacen: además de condenar el comunismo, declara qué práctica político-organizativa se ajusta mejor a la orientación teórica desarrollada en las décadas anteriores. Por un lado, la condena del capitalismo y del mundo liberal sigue en pie, por lo que no puede representar una vía posible; pero entonces, ¿qué? La solidaridad, la misericordia, la colaboración mutua. Estas formulaciones abstractas no tienen en realidad ningún contenido, porque se adaptan a una miríada de configuraciones posibles, las más diversas entre sí, y ahí radica precisamente la superioridad de Pío XI: da una indicación extremadamente precisa. En primer lugar, sin falsas hipocresías, dice textualmente en el § 33:

«No es cierto que todos tengan los mismos derechos en la sociedad civil. No es cierto que no exista en ella una jerarquía social legítima».

Y él mismo remite a León XIII. Gracias al análisis del Catecismo sabemos por qué. Pero lo interesante es reiterar por qué se reivindica la desigualdad: porque los comunistas, perniciosamente, reivindican la igualdad desde su punto de vista:

«En las relaciones humanas con otros individuos, los comunistas aceptan el principio de la igualdad absoluta, rechazando toda jerarquía y autoridad constituida divinamente, incluida la autoridad de los padres».

Dado que la desigualdad es divina y los comunistas quieren eliminarla, Pío XI acepta que el Estado haga respetar el orden jerárquico natural-social (§ 33) creando un orden particular. Pero, ¿qué tipo de Estado? Pío XI no se esconde: el corporativismo. Veamos el § 32:

«Hemos indicado cómo se puede restaurar una prosperidad sólida de acuerdo con los verdaderos principios de un sistema corporativo sano, que respete la estructura jerárquica propia de la sociedad; y cómo todos los grupos ocupacionales deben fusionarse en una unidad armoniosa inspirada en el principio del bien común. Y la función genuina y principal de la autoridad civil consiste precisamente en la promoción eficaz de esta armonía y en la coordinación de todas las fuerzas sociales».

Y si alguien pensara que se refiere a un corporativismo hipotético, también en este caso se disipa toda duda. El § 54 dice:

«Si, por lo tanto, consideramos toda la estructura económica de la sociedad, como hemos destacado en nuestra encíclica Quadragesimo anno, el reino de la colaboración mutua entre la justicia y la caridad en las relaciones socioeconómicas solo puede alcanzarse gracias a un conjunto de organizaciones profesionales e interprofesionales, fundadas sobre una base cristiana sólida, que trabajen juntas para poner en práctica, en formas adaptadas a los diferentes lugares y circunstancias, lo que se ha llamado corporación».

Si recordamos que la encíclica es de 1937, «lo que se ha llamado corporación» tiene claras referencias históricas]. Es el mismo papa quien dijo que Mussolini era el «hombre de la Providencia».

Corriendo hacia hoy, o mejor, hacia ayer

Si el fascismo es la versión «dura» del corporativismo, lo que ocurre en Italia después de la Segunda Guerra Mundial, en la República Democrática, puede definirse como la versión «blanda». La organización industrial y productiva del país pasa del fascismo a la República con gran continuidad; el IRI no solo sigue siendo un gigante económico, sino que incluso amplía su ámbito de actuación. El Estado empresario gusta a los católicos, pero naturalmente también gusta a los comunistas, que con el plan de reformas estructurales quieren llevar el proceso gradualmente hasta sus últimas consecuencias. No se trata ciertamente de un Estado liberal puro: aunque sea a costa de sangrientas luchas, se arranca toda una serie de derechos a los trabajadores. Sin embargo, la presencia asistencialista del Estado y su uso paternalista y clientelista no contradicen el sistema teórico descrito anteriormente. El peligro comunista es el desarraigo del sistema dirigista-católico-paternalista, no la idea del mutualismo social; basta con que el mutualismo no conduzca al desmantelamiento del sistema. Por lo tanto, conceder derechos a medias es aceptable; sin embargo, el temor es que, a fuerza de ceder pedazos, al final se ceda todo el pastel, por lo que es mejor proceder con parsimonia y con un control extremo9.

Sería ingenuo e incorrecto concluir de lo anterior que todos los papas (y las orientaciones políticas del Vaticano) son iguales y que, por lo tanto, es indiferente quién sea el papa; sería un extremismo ingenuo que perdería de vista las muchas posiciones posibles, con grados muy diferentes de dramatismo social, que existen entre la versión dura y la versión blanda. Por lo tanto, si el horizonte de referencia general sigue siendo el mismo, hay una gran diferencia entre atacar o defender el imperialismo financiero, respaldar o oponerse a las guerras que se derivan de él, ser drástico o benevolente con quienes se encuentran en situaciones de indigencia o migración.

En su encíclica Fratelli tutti10, el papa Francisco adopta una posición clara contra la economía financiera y sus especulaciones, situándolas en la base de la actual crisis mundial (§§ 12, 52, 53, 75, 109, 144). Son sus efectos perversos los que determinan las relaciones desequilibradas con los países más pobres y, por lo tanto, su explotación (§§ 122, 125, 126), así como la causa de la cultura globalista vacía y homogeneizadora (§ 100) y del individualismo paradójico que la refleja (§§ 12, 105, 144). Llega a sostener que el problema de fondo es el mercado, que es una mera ilusión pensar que puede autorregularse (§§ 33, 109), posición que se define duramente como «dogma neoliberal» (§ 168). Se invocan instituciones que lo regulen a nivel mundial (§ 138), porque sin este tipo de regulación la libertad y la justicia siguen siendo palabras vacías (§§ 103, 108, 170-172). Afirma incluso que la propiedad no es sagrada, sino un derecho secundario (§ 120) y debe tener una función social (§ 118).

Sin embargo, también critica el populismo, estigmatizando la política de cierre hacia los migrantes (§ 39); condena la esclavitud a la que están condenados por el mismo sistema mencionado anteriormente (§§ 86, 130-132), trata de distinguir entre las reivindicaciones populares legítimas y el populismo (§§ 157 ss.), critica la pseudocomunicación vinculada al mundo de las redes sociales (§ 42) y el horror de la violencia y la agresividad que produce (§ 44).

Quienes han tenido la paciencia de llegar hasta aquí saben que en estas posiciones no hay nada innovador ni revolucionario; todo lo afirmado se inscribe más o menos con precisión en el marco reconstruido. Sin embargo, esto no debe llevar a errores de signo contrario: el primero es creer que el Papa ha sido un «comunista» o considerar el planteamiento teórico general que se deduce de sus posiciones como algo deseable. Por otra parte, sin embargo, sería igualmente absurdo no identificar los elementos de posible convergencia estratégica, la fructífera posibilidad de colaboración.


Esta es la cuestión: el llamado «rojo-marrón» no capta las diferencias y lo mezcla todo indistintamente en el «estar en contra». No captar las diferencias es un error garrafal, porque se acaba trabajando de todos modos para otro enemigo diferente del actual, pero enemigo al fin y al cabo. Esto no excluye que se pueda colaborar estratégicamente para determinados objetivos comunes, es decir, teniendo plena conciencia teórica y práctica del momento en que hay que detenerse y seguir llamando a las cosas por su nombre.

En cuanto al papa recién elegido, es obviamente imposible predecir lo que hará. Sin duda, seguirá moviéndose en el marco de referencia trazado en lo que respecta a las coordenadas generales, esperemos que inclinando la balanza hacia soluciones «suaves» de concertación global. La elección del nombre podría sugerir precisamente un vínculo con el León del siglo pasado y su intento «pacificador»11. En los tiempos que corren, sería una actitud apreciable.

Notas
1 A partir de Juan Pablo II (polaco), hemos tenido un papa alemán (Benedicto XVI, Ratzinger) y ahora uno estadounidense. Antes de Wojtila, el último papa no italiano había sido Adriano VI (1522-1523), cuyo nombre de pila era Adriaan Florensz, flamenco de Utrecht.

2 A continuación, retomo partes del texto de una contribución mía de hace unos 25 años, eliminando las partes más polémicas y beligerantes que la animaban en su momento para centrarme en las cuestiones de fondo.

3 El texto reproducido está traducido de la versión inglesa, por lo que es posible que haya pequeñas diferencias con respecto a la versión italiana comercializada. Lo mismo ocurre con las citas de encíclicas que siguen.

4 Se recuerda que el silabo no desarrolla críticas, sino que simplemente enumera y censura 80 conceptos presentados con las palabras de quienes los defienden.

5 Esto se ve también en Dante, Paradiso, VIII, vv. 115-126 y 138-148, pero también en XXVI, vv. 64-66; pero para la fuente filosófica, véase Tomás de Aquino, Summa Theologica, I. q. VI, 4 y II. II, q. XXVI.

6 Aquí es evidente el fundamento de este razonamiento en la teoría aristotélica de la esclavitud.

7 Pío X, sucesor de León XIII, retomará la crítica de la modernidad condenando sus «intrusiones» en el contexto católico con la igualmente famosa encíclica Pascendi domini gregis de 1907, dirigida precisamente contra el movimiento «modernista».

8 Juan Pablo II, en su encíclica social Fides et Ratio de 1998, en el § 54, hace referencia explícita a toda esta estratificación documental; la función de este párrafo es remitir a todos los documentos anteriores sobre temas filosóficos, siempre en aras de la continuidad y la condena.

9 Reitero, para evitar equívocos, que no se está hablando aquí del cristianismo social básico, sino solo de las perspectivas de la jerarquía.

10 También aquí retomo partes del texto desarrolladas en otro artículo escrito en su momento sobre esta encíclica.

11 Robert Francis Prevost es el primer papa agustino de la historia. A pesar de la referencia a San Agustín, los agustinos, al igual que los dominicos y los franciscanos, son una orden medieval, originalmente de naturaleza ermitaña mendicante, pero que progresivamente se convirtió también en conventual. Además del vínculo «ideológico», otra razón que explica la elección del nombre podría ser más prosaicamente que León XIII inició la canonización de algunas figuras de la orden, creó cardenales y apoyó su relanzamiento vocacional, devolviendo vitalidad al movimiento tras la profunda crisis que había vivido con las supresiones ilustradas en Europa y América Latina.

Fuente: Marx dialectical studies

Artículo seleccionado por Carlos Valmaseda para la página Miscelánea de Salvador López Arnal

Tuesday, 10 June 2025

Una lettura marxista della dottrina sociale della Chiesa nell’ultimo libro di Roberto Fineschi. Intervista all'autore di Ascanio Bernardeschi



Intervista all'autore di Ascanio Bernardeschi


L’intervista ad uno dei maggiori filosofi marxisti viventi sul suo recente lavoro Da Pio IX a Leone XIV. Prospettive marxiste sulla dottrina sociale della Chiesa, per aprire una riflessione critica sull’evoluzione del pensiero e del “magistero” cattolico.

L’elezione del nuovo papa ha innescato la gara fra i commentatori per qualificare questo nuovo pontificato. Riteniamo che saranno i fatti a poter dare un giudizio informato, anche se le premesse non ci paiono promettenti a partire proprio dalla decisione di assumere del nome di Leone come richiamo all’autore della Rerum Novarum. Se, infatti, questa scelta viene da molti, forse dai più, vista come un’attenzione alla questione sociale che con quell’enciclica la Chiesa affrontava per la prima volta, non deve sfuggirci, invece, il carattere antisocialista di quel documento che vedeva come un elemento di natura la proprietà privata dei mezzi di produzione e, di conseguenza, contro natura le aspirazioni socialistiche e si poneva l’obiettivo di arginare il montante movimento delle classi lavoratrici proponendo palliativi alla terribile condizione dei lavoratori.

Vorremmo parlarne con Roberto Fineschi, fra i maggiori filosofi marxisti viventi, il quale recentemente ha pubblicato un libro che definisce come “rimaneggiamento di articoli recenti e passati” ma che, in realtà, affronta abbastanza sistematicamente il tema dell’evoluzione della dottrina cattolica attraverso i vari papi, da Pio IX in poi, con una intera parte opportunamente dedicata al solo papa Ratzinger. In un’altra, la prima, affronta il tema della dottrina sociale della Chiesa.

Il tuo libro tratta dell’evoluzione della Chiesa a partire da Pio IX, quindi dall’opposizione della Chiesa al liberalismo nella sua fase progressista e alla modernità, per giungere a questo nuovo papa. Si è trattato secondo te di adeguamenti gattopardeschi ai tempi che cambiavano o c’è stato veramente, in alcuni papi, una spinta verso un cambiamento più profondo?

“Più che un cambiamento, direi che per la prima volta la Chiesa ha dovuto prendere una posizione ufficiale di fronte a evoluzioni strutturali della società che non potevano essere ignorate, vale a dire l’avvento del capitalismo e successivamente il passaggio alla sua fase imperialistica. Ci tengo a precisare che quando parlo di Chiesa intendo la gerarchia vaticana senza includere il più vasto mondo popolare del cattolicesimo.

Si tratta, nel complesso, di posizioni conservatrici e corporative. È da sottolineare che sin dall’inizio esse hanno carattere antiliberale, prima a livello teorico e di principio con Pio IX, poi in maniera più strutturata con Leone XIII che, contro il liberismo e il libero pensiero (e il neonato socialismo), propone una soluzione corporativa, con un organicismo patriarcale basato su proprietà privata, ma con funzione pubblica, mutualismo di classe e gerarchia sociale “benevola”. È, in sostanza, una versione aggiornata della teoria aristotelica della schiavitù, addolcita con la fratellanza cristiana: esiste una gerarchia sociale basata sulle caratteristiche naturali degli individui che, però, in quanto fratelli, si devono aiutare. La natura antiliberale della teoria sociale della Chiesa ha, dunque, radici profonde e premoderne. Tuttavia, non è la società feudale a essere riproposta, ma un capitalismo corporativo retto da un forte moralismo religioso.

Il passaggio storico del capitalismo alla fase imperialista e al fascismo come una delle sue forme politiche principali rappresenta la versione “hard” di questa concezione: invece che con il paternalismo la gerarchia, va mantenuta in linea privilegiata con la forza. Una società, invece, democratica a partecipazione statale retta da una imprenditoria illuminata dalla religione cattolica è la versione “soft” ed è il consociativismo democristiano del secondo dopoguerra.

C’è, poi, da aggiungere che tutte le encicliche “sociali” sono animate da un forte spirito antisocialista e anticomunista e affiancate da documenti paralleli di loro condanna. Sono animate anche da un forte spirito antiliberale; tuttavia, il liberalismo è preferibile al comunismo perché permette di utilizzare le sue stesse armi (la libertà di pensiero, di associazione) contro i regimi liberali, mentre il comunismo non glielo consentirebbe.

Detto questo, sarebbe ingenuo immaginare che con questo si voglia incoraggiare un atteggiamento da “mangiapreti”. Infatti, non è affatto indifferente quale posizione la Chiesa assuma, se soft o hard. C’è una bella differenza tra il fascismo e il consociativismo su base democratica e anche tra il libero mercato spietato e un sistema che, invece, preveda forme solidali e di partecipazione per quanto diretta dall’alto.

Dunque, in una certa misura e in certe circostanze, ci si può alleare strategicamente. Il problema è, invece, quando si va in confusione sui principi di fondo e si prende una teoria conservatrice, come è quella ufficiale cattolica, come un programma di emancipazione delle masse”.

Come è stato confezionato il tuo libro e, in particolare, cosa c’è di nuovo rispetto agli articoli a suo tempo pubblicati in varie riviste?

“Il libro raccoglie testi già scritti addirittura, in un caso, più di venti anni fa e testi relativamente recenti, ricomponendoli in maniera ragionata e cercando di dare un filo a una riflessione che viene da lontano. Si sforza, per esempio, di riannodare i nessi esposti nel punto precedente con il pontificato di Bergoglio che, in parte giustamente, tanti entusiasmi ha suscitato. La sua, infatti, è stata quasi la sola voce di capo di Stato contro le “trame atlantiche” che hanno portato alla guerra in Ucraina o a denunciare il massacro a Gaza. Di questo gli va dato merito. E ha cercato di rimettere al centro della discussione anche la questione del “Terzo Mondo” e della sua emancipazione necessaria. Riconosciuto questo, cerco di mostrare come, tuttavia, ciò non lo porti fuori dalle coordinate sopra tracciate e che, quindi, si debba stare attenti ai “paradigmi teorici” di riferimento per non sbandare pericolosamente.

Sempre per questa ragione, riprendo un articolo in cui mostro le possibili connessioni tra un cattolicesimo dai forti connotati esistenziali come quello di Ratzinger con alcuni dei filoni più diffusi del pensiero conservatore contemporaneo, in particolare la filosofia di Heidegger, per spiegare come certe ideologie trovino tra sé importanti punti di contatto che vanno a formare un fronte non necessariamente unico ma sicuramente omogeneo e persuasivo, soprattutto in una situazione di forte disorientamento ideale e programmatico della “sinistra”, penetrando in particolare grazie alla centralità concessa alla figura ideologica fondamentale delle strutture sociali borghesi, vale a dire l’“individuo-persona” e il suo preteso carattere sostanziale e a-storico.

Sempre in questa direzione va l’ultimo saggio che commenta il pensiero di un prete del popolo come padre Balducci e la sua riflessione sull’emancipazione degli ultimi. In questo caso, l’appeal è anche più “democratico” per la sua vicinanza agli emarginati storici e geografici; essa, tuttavia, si basa su presupposti ideologici che sono “paradigmaticamente” alternativi a quelli marxisti.

Il senso complessivo di questo libro, dunque, non è sviluppare una contrapposizione fine a se stessa con alcune varianti del pensiero cattolico, ma mettere i puntini sulle i, in modo da stabilire i giusti confini e le possibilità di collaborazione costruttiva con posizioni altre, senza tuttavia dover cedere in toto ai loro presupposti teorici; ciò non significherebbe altro che rinunciare completamente alla propria identità teorica e politica e quindi, nella sostanza, aver già perso divenendo strumento di strategie altrui”

Passando dal libro all’attualità, l’elezione di Prevost è stata presentata come un compromesso volto a ricompattare una Chiesa profondamente e clamorosamente divisa. Secondo te, quale potrebbe essere il segno di questo nuovo papato?

“Non so rispondere a questa domanda. Sicuramente all’interno della Chiesa ci sono schieramenti in forte conflitto tra di sé e la figura di Bergoglio, in questo senso, è stata divisiva, suscitando forti malumori tra le file più conservatrici, soprattutto negli Stati Uniti. L’elezione di un papa statunitense, di un ordine forte soprattutto negli Stati Uniti, ma con una vocazione terzomondista sembra, insomma, la classica soluzione di compromesso. Detto questo, solo i fatti ci daranno delle indicazioni più chiare sul suo orientamento. La scelta del nome potrebbe alludere a un interesse particolare alla questione sociale. Tuttavia, non c’è da aspettarsi molto di più di un orientamento corporativo conciliante; con il neoliberismo imperante esso a qualcuno sembra rivoluzionario. Sicuramente sarebbe migliorativo, ma bisogna di nuovo stare attenti a non confondersi”.



Francesco I, pur con gli inevitabili limiti di un papa, aveva promosso alcune caute aperture in fatto di diritti civili e si voleva rappresentare, perfino a partire da alcuni elementi esteriori quale la scelta del nome e la croce in ferro in sostituzione di quella in oro, come esponente della Chiesa dei poveri. Vedi in Leone XIV un possibile restauratore, nei limiti imposti da una società ormai mondanizzata, delle tradizioni e dell’ortodossia religiosa?

“Anche qui non bisogna sognare a occhi aperti. Le istituzioni della Chiesa cattolica sono quello che sono da molti secoli. Si tratta di un organo di potere abituato ad avere controllo diretto o forte influenza politica, diminuiti nella modernità suo malgrado con l’affermarsi degli Stati nazionali prima e con la loro laicizzazione poi. In una certa fase considerata nemica, la Chiesa è successivamente tornata a essere utile alleato una volta che un più grande pericolo comune ha spinto vecchie e nuove forze della conservazione a unirsi strategicamente. Sempre riferendosi alle istituzioni di vertice, è questo il contesto e l’orizzonte politico in cui si sono sempre mosse e si muovono, e non c’è alcuna traccia di apertura a questo riguardo. Le aperture, talvolta in verità solo apparenti, su singoli punti non scardinano l’intelaiatura. E, del resto, i cattolici possono additare ai protestanti i “bei” risultati – dal punto di vista religioso, detto sarcasticamente – ai quali hanno portato le loro aperture, vale a dire a una secolarizzazione radicale della società. È questo l’argomento forte dei conservatori: solo l’ancoraggio alla tradizione o addirittura una sua radicalizzazione è ciò che permette la sopravvivenza dello spirito religioso, nel cristianesimo come nelle grandi religioni a grande diffusione. L’organigramma della Chiesa cattolica è, del resto, un mastodonte che funziona in virtù della sua forte verticalità, difficile immaginarlo diversamente. Spero, ovviamente, di essere contraddetto dai fatti”.

Se Giovanni Paolo II svolse un ruolo non trascurabile nell’abbattimento del campo socialista europeo e nel contrasto ai movimenti antimperialisti dell’America Latina sostenuti dai teologi della liberazione, in che misura ritieni che, ancora oggi, le idee dei papi e i rispettivi cambiamenti di indirizzo possano veramente incidere nelle decisioni politiche alla luce della progressiva laicizzazione delle società, perfino di quella italiana pur segnata dal macigno del Concordato?

“La laicizzazione e il prevalere dell’individualismo estremo creano un vuoto nell’animo che, a un certo punto, con qualcosa va riempito. Questa è la carta che tutte le religioni nel mondo occidentale hanno da giocare. Rispondono a un bisogno di socialità prodotto dal sistema di riproduzione in termini rinnovati e, facendolo, hanno un forte potere di penetrazione. Ciò, ovviamente, nei limiti e nei termini dettati dal “capitalismo crepuscolare”, ma sicuramente con un potere di influenza non marginale.

Del resto, la Chiesa cattolica ha qualcosa che spesso manca ad altri soggetti politici, vale a dire una presenza capillare sul territorio grazie a parrocchie, conventi, monasteri, oratori, cooperative, imprese, giornali, ecc. Sono le famose casematte di gramsciana memoria. Ovviamente, non sono tutte conservatrici nel senso in cui lo è la gerarchia vaticana, ma creano una larga rete che garantisce la vitalità del cattolicesimo, spesso con effetti positivi niente affatto trascurabili nell’accoglienza, nell’aiuto solidaristico agli ultimi e via dicendo. Anche in questo caso non vorrei passare da mangiapreti, il discorso è diverso: il cristianesimo e il cattolicesimo hanno forti elementi solidaristici e sociali con i quali si può proficuamente collaborare per migliorare il mondo; hanno anzi in questo momento sicuramente una presa sociale assai più forte, efficace e praticamente utile di quanto non ce l’abbiano tutti i movimenti di sinistra messi insieme. Costituiscono uno dei pochi residui di resistenza al pensiero unico neoliberista per il senso di umanità e comunità che li anima. Su questo, di nuovo, si può collaborare. Questo, però, non è il comunismo; né come modello teorico, né come realtà organizzativa. Una verità da tre soldi, ma che forse va ricordata”.

Nella parte finale che dedichi a due importanti personaggi del cattolicesimo italiano, David Lazzaretti ed Ernesto Balducci, il cui pensiero e la cui azione analizzi in chiave marxiana, concludi con alcune riflessioni che scaturiscono dalla presa d’atto che con l’attuale fase del capitalismo, che tu chiami “crepuscolare”, la loro attualità viene meno. Sono riflessioni importanti per chi voglia “abolire lo stato di cose presenti”, anche se si attestano, per il momento, a un elevato livello di astrazione e, quindi, non vanno molto oltre l’evocazione dell’opportunità di passare da questo livello, attraverso opportune mediazioni, a uno più vicino alle necessità dell’azione politica. Il Movimento per la Rinascita Comunista condivide il bisogno di questo approfondimento e si sente impegnata in questa direzione. Hai consigli da darci in proposito?

“In realtà, già l’analisi delle posizioni di questi autori e di quelli che, a mio parere, sono i loro limiti pone qualche elemento, vale a dire indica delle strade da non seguire, come un generico mutualismo (il caso di Lazzaretti) o l’idea di un progresso per negazione della modernità, seppur promuovendo un solidarismo “originario” (Balducci). Entrambe le soluzioni scartano l’analisi della contraddittoria dialettica di progresso e suoi limiti in seno allo sviluppo del modo di produzione capitalistico stesso.

Per passare al pratico… non si può rinunciare al teorico, nel senso che, senza una prospettiva trasformativa che individui un obiettivo di lotta (come sarà questa società comunista? Come emerge da quella esistente?) e senza un’individuazione di raccordi di classe tra le diverse figure potenzialmente antagoniste al capitalismo, anche un movimento politico fa poca strada e si pone solo sulla difensiva. “Lo stato presente delle cose” più che “abolito” va “superato” (aufheben è il verbo tedesco) e per far questo bisogna chiarirsi su quel è l’obiettivo di lotta (abolizione dello Stato, della proprietà privata, ecc. sono slogan e risultati di trasformazioni, ma non concrete forme di movimento della società). In sostanza, non ho consigli da dare (mi dispiace), ma ho un programma di lavoro che parte dal cercare di capire che cosa non ha funzionato in ciò che invece avrebbe dovuto essere la panacea di tutti i mali, vale a dire la gestione razionale dell’economia secondo un piano. Lottare provvisoriamente per forme ibride di economia mista credo possa essere una rivendicazione iniziale ragionevole di cui gli effetti positivi – seppure nei suoi limiti storici – sono già stati apprezzati”.

Il tuo programma di lavoro ci pare importante e lo seguiremo attentamente mentre seguiremo gli sviluppi delle forme ibride di economia, già operanti, di diverse parti del mondo


Una lettura marxista della dottrina sociale della Chiesa nell’ultimo libro di Roberto Fineschi


Saturday, 10 May 2025

Papa, papi e dottrina sociale della chiesa di Roberto Fineschi



Papa, papi e dottrina sociale della chiesa

di

Roberto Fineschi



L’elezione di un nuovo papa suscita inevitabilmente grande interesse per il ruolo internazionale che questa figura ricopre, in particolare in Italia anche se la tendenza recente è quella di eleggere papi non italiani1. È evidente che, pur condividendo determinati principi di fondo, ci si può schierare assai differentemente (diciamo che i comunisti ne sanno qualcosa). Per quanto concerne la cosiddetta dottrina sociale delle chiesa questi principi di fondo sono ben chiari, espressi in molti documenti e sviluppati con coerenza di impianto nel corso del Novecento. Essi consentono un vasto arco di “appoggi” possibili che possono spostare l’operato pontifico più a destra o sinistra; tuttavia nessun papa ha mai messo in dubbio le basi generali di quell’impianto.


Se dunque bisogna salutare con il giusto apprezzamento posizionamenti più sinistra di taluni rispetto a talaltri, non bisogna nemmeno confondersi sulle questioni di principio.

La seconda precisazione è che quanto si va a tentare di spiegare riguarda la posizione ufficiale della gerarchia ecclesiastica e non concerne necessariamente le mille anime popolari del cattolicesimo sociale. Si sa bene però le gerarchie hanno uno stretto controllo sulla faccia “ufficiale” di santa romana chiesa.



1) Le premesse: Pio IX2


Nell’enciclica Quanta cura (1864) e nel Sillabo a essa allegato Pio IX non combatte semplicemente lo stato moderno, ma la modernità come tale. Ecco qui un primo elemento da mettere bene a fuoco: il contenuto anti-liberale della critica della Chiesa Cattolica precede l’avvento della borghesia al potere e la diffusione mondiale del capitalismo ed è dunque tutto in chiave anti-modernista, vale a dire che non mira ad andare oltre il capitalismo, ma a tornare a un prima. Nel far questo Pio IX riprende il proprio precedessore Gregorio XVI che considerava una “follia” quanto segue:


"Libertà di coscienza e d’iniziativa è diritto personale di ogni uomo che deve essere proclamato e asserito in ogni società costituita secondo diritto; e che il diritto ad una libertà assoluta risiede nel cittadino che non deve essere limitato da alcuna autorità, né ecclesiastica né civile, in quanto essi debbono essere in grado di manifestare e dichiarare apertamente e pubblicamente qualsiasi loro opinione, attraverso la parola, la stampa o in qualsiasi altro modo"3.

Secondo Pio IX questa non è libertà di pensiero, ma “libertà di perdizione”.

La critica dell’individualismo solo apparentemente potrebbe essere vista come sovrapponibile a quella fatta dai comunisti: infatti lo si attacca da destra. Questo lo si vede chiaramente nel Sillabo dove i primi articoli sono dedicati alla sconfessione della capacità della ragione di comprendere la realtà, i dogmi della CC, ecc. (artt. 3-5). Solo attraverso Dio l’uomo conosce veramente, ma per i cattolici romani attraverso Dio significa attraverso il papa. Il pensiero deve così essere asservito alla verità rivelata e non sottoporre a prova razionale la fede (art. 10). La terza sezione è dedicata a sostenere che solo la fede cattolica porta alla salvezza, le altre no, con esplicita presa di posizione contro i protestanti (art. 18). Si passa quindi a dichiarare il necessario asservimento della stato di diritto alla CC (artt. 20 e segg.). Segue quindi un argomento molto caro alla CC di oggi: il controllo dell’educazione (artt. 45 e segg.). Artt. 67 e segg. sono dedicati alla nullità del matrimonio civile di fronte a quello religioso secondo le sanzioni del Concilio di Trento.

Gli ultimi 4 principi da censurare li cito direttamente per rendere il sapore e lo stile del nostro; sono diretti contro il riconoscimento legale della libertà di culto4:


"77. Al giorno d’oggi non c’è più motivo per cui la religione cattolica debba essere ritenuta come la sola religione di stato, con l’esclusione di tutte le altre forme di culto …

78. Dunque è stato saggiamente deciso dalla legge, in alcuni paesi cattolici, che persone che vengano a risiedervi, possano godere della pratica pubblica del loro culto particolare …

79. Inoltre è falso che la libertà civile di ogni forma di culto ed il pieno potere dato a tutti di manifestare apertamente e pubblicamente qualsiasi opinione e pensiero portino più facilmente alla corruzione morale del popolo e a propagare la peste dell’indifferentismo …

80. Il pontefice romano può e deve riconciliarsi e venire a patti con progresso, liberalismo e civiltà moderna"


Ricapitolando Pio IX nega la libertà di pensiero, di culto, di azione, la sovranità popolare (in quanto lo stato, che la incarna, deve rispondere alla chiesa, che ne è indipendente) e sostiene sudditanza del pensiero e della scienza alla religione, ecc. Mi sembra che basti per delineare il profilo dei contenuti politici della posizione anti-liberale del papato.

2. Il catechismo odierno


Alcuni potrebbe ritenere che questa sia la posizione della Chiesa di allora, che oggi è tutto diverso e che è cambiata anche la situazione sociale. Valutiamo però queste considerazioni alla luce dei dettami del Catechismo, redatto sotto la direzione dell'allora cardinal Ratzinger. L’art. 872 recita:



"Fra tutti i fedeli in forza della loro rigenerazione in Cristo, sussiste una vera uguaglianza nella dignità e nell’agire, e per tale uguaglianza tutti cooperano ad edificare il Corpo di Cristo secondo la condizione e i compiti di ciascuno".




Vediamo anche il seguente:

"Le differenze stesse che il Signore ha voluto stabilire fra le membra del suo Corpo sono in funzione della sua unità e della sua missione".

Se da una parte tutti sono figli di Dio, e quindi uguali, dall’altra ciascuno ha una propria qualità specifica, anch’essa voluta da Dio, che lo colloca in una determinata funzione.
Così l’art. 1936 afferma:

"Si notano differenze legate all’età, alle capacità fisiche, alle attitudini intellettuali o morali, dagli scambi di cui ciascuno ha potuto beneficiare, alla distribuzione delle ricchezze. I talenti “non sono distribuiti in misura eguale”".

Qui differenze fisiche e sociali sono poste sullo stesso piano, tutte collocate nel progetto divino complessivo, come si deduce anche dall’art. 1937:

"Tali differenze rientrano nel piano di Dio … Le differenze incoraggiano e spesso obbligano le persone alla magnanimità, alla benevolenza, alla condivisione"

Così la diseguaglianza sociale, alla stessa stregua di quella fisica, è volontà di Dio. L’art. 1938 parla poi di “diseguaglianze inique”, che rappresentano il superamento del confine delle diseguaglianze eque.
Il ragionamento sopra esposto implica che per natura (volontà di Dio) non solo gli uomini siano effettivamente tutti diversi biologicamente, ma che questa differenza stia sullo stesso piano della strutturazione sociale, culturale, caratteriale, addirittura del possesso della ricchezza. Così l’uguaglianza degli individui, affermata in virtù della partecipazione al piano complessivo di Dio (tutti sono figli di Dio), non esclude che essi siano classificati in una scala gerarchica a seconda della loro natura particolare. La loro dimensione sociale, alla stessa stregua del colore della loro pelle, è divinamente posta: ci sono “naturalmente” dei ruoli sociali più o meno importanti e altrettanto “naturalmente” persone più o meno adatte a realizzarli; non si distingue cioè da un punto di vista concettuale ciò che è naturale da ciò che è sociale5. Esiste perciò una gerarchia di funzioni alla cima delle quali sta evidentemente quella ecclesiastica (la più vicina a Dio) ed al livello più basso la meno spirituale (la materiale)6.


3. Leone XIII e la Rerum novarum


Sappiamo adesso che esistono delle differenze “sociali” che sono “naturali”, quindi è insensato lottare per la loro rimozione; più logica è la cooperazione delle forze preposte. Su questi fondamenti viene scritta la prima enciclica sociale, le celeberrima Rerum novarum (1891) di Leone XIII. Essa si trova ad affrontare il tema della dinamica sociale una volta che il capitalismo ha creato alcune delle sue condizioni fondamentali, vale a dire l’opposizione conflittuale di capitalisti e lavoratori salariati. La loro articolazione dunque, per coerenza col ragionamento svolto, non è legata a fattori strutturali dell’organizzazione riproduttiva, ma alla scala sociale-naturale delle funzioni, come lo erano padrone-schiavo, signore-servo della gleba. Le eque disuguaglianza sono tali per volontà di Dio o natura che dir si voglia, contro di esse non c’è nulla da fare. Ciò che però si deve fare – e in questo la chiesa si distingue nettamente dal liberalismo individualista radicale – è tenere conto che tutti sono figli di Dio; ciò implica degli obblighi morali di mutualismo interclassista: l’imprenditore non deve essere un padrone ma un padre benevolo che tiene il benessere dei propri lavoratori, ne cura il progresso economico e morale. La proprietà privata deve avere una funzione pubblica, il profitto non può essere fine a se stesso ma coordinando con il progresso sociale. Ciò dette vita a una diffusa e prospera imprenditoria cattolica soprattutto nel nord Italia.


La prospettiva politica di questa impostazione era nettamente antisocialista: il conflitto di classe andava non fomentato ma lenito, l’ordine gerarchico della società è naturale (ovviamente con la Chiesa alla testa come guida morale dell’imprenditoria illuminata). Leone XIII prese espressamente posizione contro il socialismo con la prima enciclica ufficiale di condanna , la Quod apostolici muneris del 1878, dunque di diversi anni precedente rispetto alla Rerum novarum che offre la vera risposta alla questione sociale7.



4. Pio XI, il salto di qualità


Se Leone XIII aveva posto della basi di una imprenditorialità organicista diretta dall’alto di carattere paternalistico come risposta al socialismo, un importante saldo di qualità avviene con la Rivoluzione russa, l’avvento del fascismo e l’inasprirsi del conflitto di classe e interimperialista sul piano internazionale. Il papa che affronterà questo nuovo livello dello scontro e quindi della relativa formulazione teoria è Pio XI. La condanna ufficiale del comunismo come movimento politico e del materialismo storico come dottrina filosofica per mano papale è tuttora la sua enciclica Divini Redemptoris del 19378. La prima parte dell’enciclica è dedicata alla confutazione del materialismo storico e su di essa il discorso non può essere approfondito perché prenderebbe uno spazio eccessivo; si può brevemente affermare che quella che viene attaccata è una versione parziale e di comodo. Nella seconda parte Pio XI fa una cosa che i suoi colleghi molto raramente fanno: oltre a condannare il comunismo dichiara quale prassi politico-organizzativa corrisponde al meglio all’orientamento teorico sviluppato nel corso dei decenni precedenti. Da una parte la condanna del capitalismo e del mondo liberale resta tutta in piedi, quindi non può certo rappresenta una via possibile; ma allora che cosa? La solidarietà, la misericordia, la collaborazione reciproca. Queste formulazioni astratte in realtà non hanno contenuto, perché si adattano ad una miriade di configurazioni possibili, le più diverse fra loro e proprio qui sta la superiorità di Pio XI: egli dà un’indicazione estremamente precisa. Per prima cosa, senza false ipocrisie dice testualmente nel § 33:

"Non è vero che tutti hanno uguali diritti nella società civile. Non è vero che non esista al suo interno una gerarchia sociale legittima".

E lui stesso rimanda a Leone XIII. Grazie all’analisi del Catechismo sappiamo perché. La cosa interessante però è ribadire perché viene rivendicata la disuguaglianza: perché i comunisti, perniciosamente, rivendicano l’uguaglianza dalla loro:


"Nelle relazioni umane con altri individui, poi, i comunisti accettano il principio della assoluta uguaglianza, rigettando ogni gerarchia e autorità costituita divinamente, inclusa l’autorità dei genitori".

Poiché la disuguaglianza è divina e i comunisti vogliono eliminarla, Pio XI accetta che lo stato faccia rispettare l’ordine gerarchico naturale-sociale (§ 33) creando un ordine particolare. Ma quale tipo di stato? Pio XI non si nasconde: il corporativismo. Vediamo il § 32:

"Noi abbiamo indicato come una solida prosperità possa essere restaurata in conformità ai veri principi di un sistema sanamente corporativo, che rispetti la struttura gerarchica propria della società; e come tutti i gruppi occupazionali debbano essere fusi in un’unità armoniosa ispirata dal principio del bene comune. E la funzione genuina e principale dell’autorità civile consiste precisamente nella efficace promozione di questa armonia e nella coordinazione di tutte le forze sociali".

E se qualcuno pensasse che si sta riferendo a un corporativismo ipotetico, anche in questo caso ogni dubbio viene sciolto. Il § 54 recita:

"Se, perciò, consideriamo l’intera struttura economica della società, come abbiamo evidenziato nella nostra enciclica Quadragesimo anno, il regno della mutua collaborazione fra giustizia e carità nelle relazioni socioeconomiche può essere raggiunto solo grazie ad un corpo di organizzazioni professionali e interprofessionali, fondate su una solida base cristiana, che lavorano insieme per attuare, sotto forme adattate a differenti luoghi e circostanze, ciò che è stato chiamato corporazione".

Se si ricordi che l’enciclica è del 1937, “ciò che è stato chiamato corporazione” ha dei chiari riferimenti storici]. È lo stesso papa che disse Mussolini essere l’ “uomo della Provvidenza”.



Correndo all’oggi, anzi a ieri

Se il fascismo è versione “hard” del corporativismo, ciò che accade in Italia nel secondo dopoguerra, nella Repubblica democratica, si può definire la versione “soft”. L’organizzazione industriale-produttiva del paese viene traghettata dal fascismo alla Repubblica con grande continuità; l’IRI non solo continua a essere un gigante economico ma amplia addirittura la propria sfera d’azione. Lo Stato imprenditore piace ai cattolici ma piace naturalmente anche ai comunisti che con il piano di Riforme di struttura vuole portare il processo gradualmente alle estreme conseguenze. Non è certo uno stato liberale puro: seppur a costo di lotte sanguinose tutta una serie di diritti viene strappata dai lavoratori. La presenza assistenzialista dello stato e il suo uso paternalistico clientelare non sono tuttavia in contraddizione con l’impianto teorico sopra descritto. Il pericolo comunista è lo sradicamento dell’impianto dirigistico-cattolico-paternalistico, non certo l’idea del mutualismo sociale; basta che dal mutualismo non si passi allo scardinamento del sistema. Concedere dunque a mozziconi dei diritti è accettabile; il timore però è che a forza di cedere pezzetti alla fine si ceda tutta la torta e dunque è meglio procedere con parsimonia e con controllo estremo9.


Sarebbe ingenuo e scorretto concludere da quanto sostenuto che allora tutti i papi (e gli orientamenti politici del vaticano) sono uguali e che dunque è indifferente chi sia papa; sarebbe un ingenuo estremismo che perderebbe di vista i molti posizionamenti possibili, con gradi assai diversi di drammaticità sociale, che intercorrono dalla versione hard alla versione soft. Se dunque l’orizzonte di riferimento generale resta lo stesso c’è una bella differenza tra attaccare o difendere l’imperialismo finanziario, avallare o contrastare le guerre che ne conseguono, essere drastici o benevoli verso chi si trova in situazioni di indigenza o migrazione.

Nella sua enciclica Fratelli tutti10, papa Francesco prende una netta posizione contro l’economia finanziaria e le sue speculazioni, ponendole alla base dell’attuale crisi mondiale (§§ 12, 52, 53 ,75, 109, 144). Sono i suoi effetti perversi a determinare rapporti squilibrati con i paesi più poveri e quindi il loro sfruttamento (§§ 122, 125, 126), nonché la causa della vuota e omologante cultura globalistica (§ 100) e del paradossale individualismo che gli fa specchio (§§ 12, 105, 144). Arriva a sostenere che il problema di fondo è il mercato, che è una mera illusione pensare che possa autoregolarsi (§§ 33, 109), posizione che viene pesantemente definita “dogma neoliberale” (§ 168). Si invocano istituzioni che lo regolino a livello mondiale (§ 138), perché senza questo tipo di regolazione libertà e giustizia restano vuote parole (§§ 103, 108, 170-172). Afferma addirittura che la proprietà non è sacra ma un diritto secondario (§ 120) e deve avere una funzione sociale (§ 118).

Critica però anche il populismo, stigmatizzando la politica di chiusura nei confronti dei migranti (§ 39); condanna la schiavitù cui sono condannati dallo stesso sistema di cui sopra (§§ 86, 130-132), cerca di distinguere tra legittime rivendicazioni popolari e il populismo (§§ 157 ss.), critica la pseudocomunicazione legata al mondo dei social (§ 42) e l’orrore di violenza e aggressività che essa produce (§ 44).

Chi ha avuto la pazienza di arrivare fino a questo punto sa che in queste posizioni non c’è niente di innovativo o di rivoluzionario; tutto quanto affermato si colloca più o meno precisamente nel quadro ricostruito. Ciò tuttavia non deve portare a errori di natura opposta: il primo è credere che il papa sia stato un “comunista” o guardare all’impianto teorico generale che dalle sue posizioni si può dedurre come un qualcosa di auspicabile. Dall’altra tuttavia sarebbe altrettanto sciocco non individuare gli elementi di possibile convergenza strategica, la proficua possibilità di collaborazione.

Questo è il punto: il cosiddetto rossobrunismo non coglie le differenze e mischia tutto indistintamente nell’essere contro. Non cogliere le differenze è un errore madornale perché si finisce per lavorare comunque per un altro nemico diverso dall’attuale, ma nemico sempre. Ciò non toglie che si possa strategicamente collaborare per determinati obiettivi comuni, vale a dire avendo piena contezza teorico-pratica del momento in cui bisogna fermarsi e continuando a chiamare le cose con il proprio nome.

Per quanto concerne il papa neoeletto, è ovviamente impossibile predire che cosa farà. Sicuramente continuerà a muoversi nel quadro di riferimento tracciato per quanto riguarda le coordinate generali, auspicabilmente facendo pendere la bilancia verso soluzioni “soft” di concertazione globale. La scelta del nome potrebbe suggerire appunto un legame con il Leone del secolo scorso e il suo tentativo “pacificatore”11. Con i tempi che corrono sarebbe un atteggiamento apprezzabile.









1 A partire da Giovanni Paolo II (polacco), abbiamo avuto un papa tedesco (Benedetto XVI, Ratzinger) e adesso uno statunitense. Prima di Wojtila, l’ultimo papa non italiano era stato Adriano VI (1522-1523), al secolo Adriaan Florensz, fiammingo di Utrecht.


2 Riprendo nel seguito parti del testo di un mio contributo di circa 25 anni fa, ripulendolo dalle parti più polemico-battagliere che lo animavano al tempo per contrarmi sulle questioni di contenuto.


3 Il testo riprodotto è tradotto dalla versione inglese, è quindi possibile che ci siano piccole difformità rispetto alla versione italiana in commercio. Lo stesso vale per le citazioni da encicliche che seguono.


4 Si ricorda che il sillabo non sviluppa delle critiche, ma semplicemente elenca e censura 80 concetti presentati con le parole di chi li sostiene.


5 Questo lo si vede anche in Dante, Paradiso, VIII, vv. 115-126 e 138-148, ma anche XXVI, vv. 64-66; ma per la fonte filosofica cfr. Tommaso d’Aquino, Summa Theologica, I. q. VI, 4 e II. II, q. XXVI.


6 È qui evidente la fondazione di questo ragionamento nelle teoria aristotelica della schiavitù.


7 Pio X, successore di Leone XIII, riprenderà la critica della modernità condannandone le “intrusioni” nel contesto cattolico con l’altrettanto celeberrima enciclica Pascendi domini gregis del 1907 diretta appunto contro il movimento “modernista”.


8 Giovanni Paolo II nella sua enciclica sociale Fides et Ratio del 1998 al § 54 fa esplicito riferimento a tutta questa stratificazione documentaria; la funzione di questo paragrafo è di rimandare a tutti i documenti precedenti su temi filosofici, sempre nel segno della continuità e della condanna.


9 Ribadisco, a scanso di equivoci, che non si sta qui parlando del cristianesimo sociale di base, ma solo delle prospettive della gerarchia.


10 Anche qui riprendo parti di testo sviluppate in un altro articolo scritto a suo tempo su questa enciclica.


11 Robert Francis Prevost è il primo papa agostiniano della storia. A dispetto del riferimento a Sant’Agostino, anche gli agostiniani, come domenicani e francescani, sono un ordine medievale, originariamente di natura eremitica mendicante ma progressivamente anch’essi diventati conventuali. Oltre al legame “ideologico”, un altro motivo a spiegazione della scelta del nome potrebbe essere più prosaicamente che Leone XIII avviò la canonizzazione di alcune figure dell’ordine, creò cardinali e ne appoggiò il rilancio vocazionale ridando vitalità al movimento dopo la profonda crisi che aveva vissuto con le soppressioni illuministiche in Europa e America latina.

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