Wednesday, 23 July 2025

Alessandro Barile, su Nel labirinto. Italo Calvino filosofo di R. Fineschi

Note critiche Rassegna bibliografica: Le singolari forme politico-culturali del comunismo italiano Roberto Fineschi, Nel labirinto. Italo Calvino filosofo, La scuola di Pitagora, Napoli 2025; Sebastian Mattei, Fabrizio Rufo, Giovanni Berlinguer. Gli studi e l’impegno politico, Carocci, Roma 2024; Giuseppe Vacca, Astratti furori e senso della storia. Politica e cultura nella sinistra italiana (1945-1968), Viella, Roma 2025, pp. 302-304. 

Alessandro Barile

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Che non si sia trattato di una storia soltanto o soprattutto “intellettuale” è testimoniato anche dal percorso politico-filosofico e biografico di Italo Calvino, di cui è oggetto l’ultimo libro di Roberto Fineschi, Nel labirinto. Italo Calvino filosofo. Calvino in effetti si presenta come simbolo di un certo mondo intellettuale coinvolto dallo spirito ciellenistico resistenziale, e grazie a questo transitato “naturalmente” al comunismo togliattiano come (più) coerente proiezione del fatidico “vento del nord” che incedeva rinnovando moralmente il paese nella difficile transizione alla democrazia e alla repubblica.

Negli anni attorno al centenario della nascita (1923-2023), nonché in occasione dei quarant’anni dalla sua scomparsa (1985), una considerevole mole di ricerche, ristampe e pubblicistica varia ha trovato pubblicazione e letteralmente invaso le librerie. Su tutte, si segnala quantomeno la collana inaugurata presso l’editore Carocci, Laboratorio Calvino, curata tra gli altri da Mario Barenghi, tra i massimi studiosi dello scrittore ligure. Fineschi, fresco della nuova traduzione del Capitale di Marx (Einaudi 2024) e della ripubblicazione aggiornata di Marx e Hegel. Fondamenti per una rilettura (La scuola di Pitagora 2024), si concede a una pubblicazione di più breve estensione (190 pp.) ma ambiziosa e d’impianto coerentemente politico-filosofico (l’autore premette infatti la distanza da una qualsivoglia analisi critico-letteraria di Calvino).


L’autore stabilisce una periodizzazione cronologica del pensiero di Calvino suddivisa in quattro parti: la fase dell’intellettuale organico (1945-1957); quella ancora comunista ma non più organica al Pci (1957-1964); la transizione post-marxista (1964-1975); infine, il Calvino pessimista ormai distante dai propositi politici giovanili (1975-1985). In buona sostanza, Fineschi suddivide il pensiero politico di Calvino in una fase marxista-comunista (1945-1964) e in una post-comunista (anche se non anti-comunista), che va dal 1964 alla sua morte. Il filo rosso che anima gli intenti dell’autore è quello di rivendicare e sostenere esplicitamente non solo il “comunismo” di Calvino, ma la sua adesione cosciente e originale al marxismo. Questa asserzione, in apparenza auto-evidente (comunista in quanto marxista, e viceversa), così non può definirsi tale proprio perché il comunismo italiano del dopoguerra, almeno quello incarnato dal Pci come referente unico del comunismo nel paese tra la Liberazione e il Sessantotto, si presenta come originale sviluppo del movimento comunista internazionale, operando una «revisione integrale del marxismo» (sono parole di Vacca, p. 10 degli Astratti furori) che rendeva possibile, a partire dal 1944, essere comunisti senza aderire completamente allo spirito ideologico del marxismo (si vedano in tal senso gli interventi e le deliberazioni del V Congresso del Pci del 1945-1946, in particolare Geymonat). Ecco perché rivendicare il marxismo di Calvino, per Fineschi, significa insistere su di una sua adesione non solo politica-contingente (o addirittura “tattica”) alle ragioni del Pci, ma compiutamente ideologica, una scelta consapevole, convinta e totalizzante. Nel sostenere questa tesi Fineschi si affida ad una platea di autori e studiosi “filo-calviniani”, tralasciando le argomentazioni del parterre critico, tra cui si possono citare i nomi, tra gli altri, di Franco Petroni, Renato Barilli, Alfonso Berardinelli, con ciò riducendo parzialmente l’efficacia della sua tesi, spesso concentrata su cosa Calvino pensava di sé.

In realtà, però, il marxismo di Calvino è assai peculiare. Come giustamente rileva Fineschi, l’adesione di Calvino al comunismo avviene sulla scorta dell’esperienza resistenziale (un percorso d’altra parte tipico della sua generazione). È una scelta pragmatica, coerente con l’afflato che animava una parte degli intellettuali del paese (vedi Vittorini), che confluisce nel comunismo da propositi teorici e culturali assai diversi. Calvino, di tutto questo, è exemplum tra i massimi. Si affaccia alla Resistenza da posizioni «anarco-liberaleggianti» (sono “confessioni” di Calvino, che Fineschi correttamente riporta, anche se ne circoscrive la portata), e fluisce poi nel comunismo da presupposti culturali-ideologici eclettici: neokantismo illuminista, razionalismo, storicismo declinato nella linea Croce-Gramsci e, quindi, marxismo declinato e inteso come “filosofia della prassi” (la cui linea genealogica sarebbe più (Labriola)Gentile-Gramsci che Croce, come giustamente chiarisce lo stesso Fineschi nel suo Marx e Hegel). È l’estrema apertura culturale del comunismo togliattiano, che si innesta nell’effervescenza dello spirito resistenziale, a rendere possibile la partecipazione al suo interno di un variegato ceto intellettuale altrimenti ideologicamente diviso e sicuramente a digiuno di marxismo come fonte prioritaria della comprensione del mondo.


Dopo il 1956, e soprattutto dopo l’esaurimento dell’efficacia della politica culturale comunista occasionata dallo scontro con la modernizzazione economica, Calvino abbandona lo storicismo come punto di vista generale capace di cogliere le trasformazioni in atto, rafforzando la propria posizione polemica in connessione con le istanze del Nord di cui abbiamo accennato in precedenza (fin troppo noto lo scritto del 1956, Nord e Roma-Sud, pubblicato su «Il Contemporaneo»). Il suo razionalismo dapprima giustifica il suo “marxismo” accentuando il posizionamento morale, poi si congiunge con il neopositivismo delle scienze sociali, individuato come unica possibile forma di conoscenza della realtà dopo i fallimenti del marxismo stesso nel saper prefigurare lo sviluppo neocapitalista. Tutto questo prima e a ridosso del Sessantotto, valutato severamente da Calvino come forma latentemente irrazionale dell’azione politica.

Epperò, il Calvino degli anni Sessanta esprime il disagio di una parte del ceto intellettuale organico al Pci negli anni Cinquanta. La «antitesi operaia» – titolo di un suo celeberrimo scritto del 1964 – è ancora possibile in un “neocapitalismo” che procede integrando la contraddizione operaia nel suo stesso modello di sviluppo? È ancora possibile una contraddizione fondata oggettivamente nei rapporti di produzione? Calvino – e con lui un’intera generazione che attorno a questi problemi alimenterà poi la mobilitazione del “lungo Sessantotto” – si domanda e tenta di avanzare risposte di fronte ai nuovi problemi che pone lo sviluppo capitalistico all’interno delle democrazie occidentali. La soluzione sarà, per lui, la «fuga dalla politica»: stretto tra il «riformismo operaio» del Pci e l’irrazionalismo della nascente «nuova sinistra» (un irrazionalismo in quanto anti-illuminismo, vedi p. 95), Calvino rompe l’organicità della dimensione politico-culturale rifluendo di fatto nel disimpegno. Non è il solo che rimarrà afono di fronte all’innalzamento dello scontro di classe e all’incapacità o impossibilità di razionalizzare soluzioni politiche sempre più conflittuali: da Franco Fortini a Sergio Leone, da Lucio Colletti a Vittorio Strada, da Franco Venturi agli operaisti Cacciari, Tronti e Asor Rosa, saranno in molti a rimanere disorientati, rinunciare alla politica o, viceversa, rientrare nel Pci dopo le avventure dell’estremismo. 

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Saturday, 19 July 2025

Fineschi su "La città futura"

 Tra il novembre 2019 e ottobre 2023 ho scritto diversi contributi per la rivista online "La città futura", soprattutto per l'amicizia con Adriana e Ascanio Bernardeschi, allora nella redazione. La maggior parte degli interventi si è concentrata tra novembre 2019 e l'ottobre 2020. 

Diversi articoli (sotto numerati 1-8, 10, 12-15) sono poi stati raccolti in Capitalismo crepuscolare. Approssimazioni, Siena, 2022. 

Il n. 18 è stato il punto di partenza di una ricerca che poi è diventato un libro vero e proprio (Nel labirinto. Italo Calvino filosofo, Napoli, La scuola di Pitagora, 2025). 

Il n. 17, insieme a una rielaborazione di 7, è ora parte di un'altra raccolta dal titolo Da Pio IX a Leone XIV. Prospettive marxiste sulla dottrina sociale della chiesa, Siena, 2025.






Sempre a uso degli interessati.

  1. Populismo, punti di partenza
  2. Orientamenti politici e materialismo storico
  3. Razzismo e capitalismo crepuscolare
  4. Fenomenologia della Ferragni
  5. Una notte al museo? Alta cultura e capitalismo crepuscolare
  6. Persona, Razzismo, Neo-schiavismo: tendenze del capitalismo crepuscolare
  7. Fratelli di tutto il mondo, affratellatevi! Brevi note sul “papa comunista”
  8. Social e capitalismo crepuscolare (living in a box)
  9. 100 anni di Pci. Riflessioni aperte
  10. Per il comunismo. Il concetto di classe
  11. “Je ne suis pas marxiste”? Ovvero Marx citato a sproposito
  12. Professionale amore mio. Scuola al crepuscolo?
  13. Strutturare i soggetti storici. Un paio di riflessioni a partire da Carducci
  14. Dire dove la storia andrà. Tra Dante e Marx. Noterelle sull’azione storica
  15. Mazzini e “noi”, oblio e memoria nel capitalismo crepuscolare
  16. Camerieri a casa nostra! Ovvero: dell’italico destino
  17. Sentieri amiatini. Classi subalterne e modernità
  18. Calvino è stato marxista. In memoriam

Friday, 11 July 2025

Questioni correnti (da facebook)


Gli "amici" di instagram mi propongono massicciamente interviste del giornalista inglese Pierce Morgan, in genere celebre per le sue posizioni assai moderate, accompagnate da un atteggiamento aggressivo che mira a mettere in difficoltà - in genere riuscendoci - l'interlocutore.
Ciecamente pro-Israel per anni, negli ultimi mesi prende letteralmente a pesci in faccia i rappresentanti del governo genocidario. Lo fa in una maniera così spietata e senza possibilità di appello che è un piacere ascoltarlo, perché ammutolisce gli interlocutori mettendoli di fronte alla loro ipocrisia (loro che si illudevano di trovare il solito lecchino).
In realtà anche questo rischia (se non lo è intenzionalmente) di risolversi in propaganda. Il godimento nel vedere questi loschi figuri messi alla berlina non sortisce alcun effetto pratico, se non quello di dare uno sfogo innocuo alla rabbia degli indignati.
Infatti, i personaggi da intervistare e prendere a pesci in faccia dovrebbero essere i vari governanti occidentali che non solo fanno finta di niente, ma avallano, se non addirittura lucrano, sul massacro. Loro potrebbero essere spinti a fare qualcosa (embargo, cessazione delle forniture e milla altre cose). E il pubblico potrebbe essere spinto (ma non lo è) a fare pressione in questo senso.
Alla fine è un anestetico per chi è arrabbiato e anche una autogiustificazione a cose fatte ("noi ci siamo opposti, dicendolo direttamente al governo israeliano", mentre il governo nostro è pappa e ciccia con il loro).




Nelle correnti relazioni internazionali (solo nelle correnti?) il primo principio che appare evidente è: io sono più forte, appoggiato dai più forti, e faccio quello che credo.
Tiro in ballo poi un qualcosa denominato diritto internazionale che, nel concreto, significa: se tu vuoi fare lo stesso in autonomia o in reazione a quello che ho fatto io, denuncio la tua condotta come illegale, immorale, ecc. (en passant: il diritto internazionale riconoscerebbe in verità il diritto a reagire, anche violentemente, in caso di occupazione/aggressione).
Se ne deduce che il diritto internazionale ha senso solo se esistono forze che lo facciano rispettare e ciò sussiste solo se tra i soggetti che possono agire con interessi contrapposti si ha una proporzionalità di forze, situazione da sempre altamente instabile ma saltata con la fine della guerra fredda.
Se qualcuno che ha la forza di farlo (esiste?) non si mette dalla parte delle vittime, nessuno fermerà il massacro in corso.
Ci si può chiedere: qual è la differenza? Sempre i soliti noti hanno fatto cadere governi, organizzato colpi di stato, ucciso militanti avversi interni ed esterni. Che c’è di nuovo?
Forse che adesso ci mettono la faccia, violano palesemente qualsiasi diritto (umano, sociale, internazionale) rivendicandone la legittimità solo in virtù della propria forza. E i vassalli scondinzolano, nella speranza, effimera, di non essere i prossimi nella lista.
Se la forza declinante non accetta di negoziare il proprio tramonto con qualche privilegio, l’alternativa è fare a botte. Per adesso stanno optando per la seconda.




Mi sento di nuovo di spezzare una lancia in favore della distinzione tra i principi di libertà, uguaglianza, ecc. nati in Occidente (pur tra mille contraddizioni) e l’uso strumentale che ne viene fatto per legittimare il contrario di quei principi, vale a dire l’imperialismo (e addirittura il colonialismo vecchio stile).
Ciò che stanno facendo i difensori del bene e i mostri genocidari viola quei diritti. In base a quei diritti è legittimo lottare contro questi figuri, anche usando la violenza.
La difesa di quel poco o tanto di buono che contraddittoriamente il modo di produzione capitalistico ha prodotto a livello di cultura e scienza (non il fantomatico “Occidente”) sta oggi nella resistenza e nella lotta contro le pretese forze “occidentali”, ovvero nella lotta contro il capitale.
Suggerisco di smettere di parlare di Occidente, di giardini, e non, ma di riprendere concetti come capitalismo, imperialismo. E anche di evitare di dire genericamente per es. “America” o "Russia", ecc., ma di parlare per es. di governo statunitense, capitalisti statunitensi, lobbies russe, ecc. Le contraddizioni - strutturali e politiche - sono intrinseche al modo di produzione capitalistico tanto internamente quanto esternamente.





Il governo dello Stato più potente al mondo ha emanato delle sanzioni contro *una singola persona privata*. Non so se è mai successo in precedenza, ma Francesca Albanese può comunque appendersi al petto la medaglia più prestigiosa che una persona che fa il suo mestiere possa sognare.
Il governo in questione invece autocertifica nuovamente, se ce ne fosse stato bisogno, di essere un pericoloso manipolo di peracottari, gli omini del bar alla guida del mondo.




Il salto di qualità della situazione attuale è che tutti i governi schierati col noto stato genocidario sono correi in base allo Statuto di Roma; quindi, più o meno tutti i capi di governo “occidentali” e diverse istituzioni economico-finanziarie collegate dovrebbero rispondere di crimini di guerra se non addirittura di genocidio e di pulizia etnica di fronte alla Corte penale internazionale.
Siccome essa non ha forze autonome ma dipende dalle forze di chi l’ha creata firmando il trattato, i capi di governo dei paesi interessati dovrebbero arrestare e processare se stessi…
Questo è paradossalmente l’ultimo evidenza “progressista” dell’occidente capitalisticamente avanzato: aver creato le istituzioni che legalmente sanciscono l’incapacità di rispettare i principi universali da esso stesso proclamati.
Se li si è già ampiamente negati più volte, adesso li si nega incuranti dell’evidenza giuridica che li si sta negando. È la legittimazione della legge del più forte.
Chi obbiettasse che è così da sempre e che non fa grande differenza che la legge lo sancisca o meno, sottovaluterebbe a mio parere l’importanza sostanziale degli statuti giuridici che ovviamente di per sé non garantiscono il proprio rispetto, ma che sono un gradino importante verso la realizzazione sostanziale dei principi formali che dichiarano. Non avere nemmeno quelli è un ulteriore passo verso la barbarie.

Capitalismo – Observaciones a propósito de los recientes debates sobre el eurocentrismo, el “Occidente global”, “jardines y selvas”. [Roberto Fineschi]

Otra traducción, sin que yo lo supiera, de uno de mis posts en Facebook :D :D 

Capitalismo – Observaciones a propósito de los recientes debates sobre el eurocentrismo, el “Occidente global”, “jardines y selvas”. [Roberto Fineschi]

Roustabouts (detalle). Joe Jones, 1934

Wednesday, 2 July 2025

Tuesday, 1 July 2025

I libri alla radio, "Nel labirinto - Italo Calvino filosofo" di Roberto Fineschi" by Radio Grad



Intervista sul mio libretto calviniano! I libri alla radio, "Nel labirinto - Italo Calvino filosofo" di Roberto Fineschi" by Radio Grad



Sunday, 22 June 2025

Esame di Stato amore mio

Esame di Stato amore mio


I



Mi ritrovo in questa stanza
col volto di ragazzo, e adolescente,
e ora uomo. Ma intorno a me non muta
il silenzio e il biancore sopra i muri
e l'acque; annotta da millenni
un medesimo mondo. Ma è mutato
il cuore; e dopo poche notti è stinta
tutta quella luce che dal cielo
riarde la campagna, e mille lune
non son bastate a illudermi di un tempo
che veramente fosse mio. Un breve arco
segna in cielo la luna. Volgo il capo
e la vedo discesa, e ferma, come
inesistente nella stanca luce.
E cosi la rispecchia la campagna
scura e serena. Credo tutto esausto
di quel perfetto inganno: ed ecco pare
farsi nuova la luna, e – all'improvviso –
cantare quieti i grilli il canto antico.



Pier Paolo Pasolini, Appendice I a «Dal diario» (1943-1944), in Tutte le poesie, tomo I, a cura di Walter Siti, Milano, Mondadori, 2009.





È questa la poesia di Pasolini scelta dagli esperti del Ministero come prima traccia per l’Esame di Stato dell’anno corrente. Non è certo tra le sue più famose e non è sicuramente rappresentativa della sua poetica matura. Forse era meglio scegliere altro?

Alcuni obiettano che sarebbe stato semplice buon senso tenere conto di quanto segue:

1) pochissime classi, un’esigua minoranza, arrivano a trattare Pasolini;

2) se ci arrivano, certo non considerano le poesie giovanili inedite;

3) i manuali stessi ignorano in genere questa fase, neppure contemplata nella pagine dedicate all’illustre intellettuale (anche i testi universitari sono in genere parchi in proposito).

La sintesi dei tre punti è: perché proporre qualcosa che in genere non si fa?

È questa una linea di ragionamento che si presta a una contro-obiezione immediata e in fondo legittima: lo studente deve aver maturato le “competenze” per analizzare qualsiasi tipo di poesia, quindi non è rilevante che essa sia famosa, celebrata e via dicendo, basta che sia un testo poetico.

È un’obiezione però che, espressa in questi termini, risulta debole; si potrebbe infatti replicare: perché allora non mettiamo una poesia che ha scritto mio zio Gino o una preparata ad hoc da un sottosegretario del Ministero? In base a quanto assunto non farebbe differenza. La scelta invece di un “classico” è legata al suo status e quindi anche il livello del testo selezionato deve tenerne conto. Qui credo stia il vero problema.

Non intendo dire che la poesia non andasse selezionata perché è “brutta” (non si tratta di emettere sentenze di tal genere). È piuttosto decisiva la rilevanza che lo stesso Pasolini e la critica qualificata le hanno attribuito per sancirne lo status di classico e quindi l’eleggibilità a testo per l’Esame di Stato. Credo si possa serenamente affermare che questo status non c’è.

Mettendo da parte la versificazione in dialetto, lo stesso poeta ha scelto dalla sua vasta produzione poetica degli anni Quaranta che cosa dare alle stampe: la raccolta L’usignolo della Chiesa Cattolica raccoglie le poesie da Pasolini ritenute più significative del periodo 1943-1949. Il testo in questione non è contemplato.

L’obiezione adesso è: perché si tratta di componimenti di carattere diaristico, allotri rispetto al tema della raccolta. Giusto. Vediamo però allora che cosa Pasolini intendesse fare di questi componimenti a carattere diaristico.

Come spiegano dottamente i curatori dei volume dei Meridiani contenenti tutte le poesie, nel 1953 Pasolini ipotizza di pubblicare questi testi giovanili con l’editore Salvatore Sciascia (omonimo ma non parente, per quanto amico, del più celebre Leonardo). In una lettera del 5 novembre spiega la struttura dell’opera completa: oltre all’Usignolo, ipotizza un Diario I. ‘43-’47, un Diario II ‘48-’49, 53 e Lingua.

L’editore accetta un progetto in scala ridotta che porterà alla pubblicazione nel 1954 del volume dal titolo Dal diario (1945-47). Dovendo scegliere, Pasolini scarta gli scritti precedenti il 1945… cui appartiene il testo scelto dal ministero.

Dai vari incartamenti superstiti nel lascito, i curatori del Meridiano sono riusciti a ricostruire il progetto anche di Diario I di cui avrebbe fatto parte la nostra poesia rimasta però inedita. Anche nell’edizione di Tutte le poesie è un testo pubblicato come appendice a una raccolta già di per sé considerata minore.

Si tratta, per farla breve, di un testo, a voler essere generosi, “minore”. È ovviamente di grande interesse per gli specialisti per comprendere l’evoluzione della poetica pasoliniana in una fase delicata del suo sviluppo intellettuale. Certamente, a giudicare dall’autovalutazione del poeta, non una poesia indispensabile, non un suo capolavoro, non un classico.

Per questa ragione, forse si poteva scegliere altro.

II


In secondo luogo, c’è da notare come le tracce B (in particolare quella sul rispetto e quella sull’antropocene) e C (mafia e social) avessero, quale più quale meno, un’impostazione moraleggiante dove da una parte c’è l’individuo con la sua responsabilità soggettiva e dall’altra il mondo, la natura, la società rispetto alle quali egli/ella ha dei doveri che riesce più o meno ad adempiere.
Lo studente poteva ovviamente scardinare questo impianto e incardinare questo astratto schematismo naturalistico e religioseggiante in un contesto di storia, classi, conflitti concreti. Certo, non è ciò che suggeriva il tema.
La stragrande maggioranza dei candidati ha svolto il tema sul rispetto, quello che più si prestava allo schematismo dei buoni sentimenti e delle attitudini cui ahimè non riusciamo soggettivamente a star dietro. Il rischio, nella maggioranza dei casi, è quello della carrellata di luoghi comuni che finiscono per ripetere il contenuto già presente nella traccia in modo più o meno fedele e linguisticamente appropriato.
Se da un lato gli studenti studiano storia, letteratura, scienza, tutte discipline che nella loro pratica hanno intrinseca la storicità, l’idea di sviluppo, di costruzione processuale, a livello di autocoscienza sono incapsulati in una concezione personalistica (prodotto feticistico necessario della società mercantile) che non consente loro nemmeno di collegare a livello epidermico quello che studiano con quello che vivono.
Le tracce, più che proporre un’uscita da questi schemi, li incoraggiavano andando a solleticare il moralista che si nasconde nel fondo del cuore di molti.


Alessandro Barile, su Nel labirinto. Italo Calvino filosofo di R. Fineschi

Note critiche Rassegna bibliografica: Le singolari forme politico-culturali del comunismo italiano Roberto Fineschi, Nel labirinto. Italo Ca...